Il lavoro degli artigiani
Paolo Nardini
Il calzolaio ciabattino
Il calzolaio generalmente svolgeva il proprio lavoro all'interno della bottega, una stanza al piano terreno con ingresso sulla strada. Nello scaffale dietro di sé teneva le forme di legno ed al centro della stanza il deschetto, il tavolo basso sul quale posava tutti gli arnesi ed i materiali di consumo utilizzati nella costruzione della scarpa. Il deschetto aveva il piano suddiviso in scomparti, per contenere separatamente i chiodi, i chiodi a spillo, le semenze, le bullette, i chiodi di legno, il grasso per ungere la lesina, la cera d'api, la pece; alcuni attrezzi venivano posati al centro del piccolo tavolo, ed altri appesi ad appositi ganci sul bordo.
Una forma in metallo utilizzata nelle riparazioni ed il martello venivano tenuti appoggiati in terra accanto al deschetto. Il calzolaio stava seduto su un panchetto basso, senza spalliera, con il sedile di schiancia.
Il calzolaio portava sopra ai normali abiti da tutti i giorni un grembiule in tela che proteggeva gli indumenti dai tagli, dai graffi e dall'usura. Egli infatti nello svolgere il suo lavoro faceva spesso delle proprie cosce il piano di lavoro o il punto di presa o di attrito. Il deschetto, infatti, veniva utilizzato solo per contenere, sempre a portata di mano, gli utensili e i materiali d'uso: non era adatto come piano di lavoro.
Per ricavare dalle pezze di pelle o di cuoio le parti che servivano al suo lavoro, il calzolaio appoggiava sulle cosce una tavoletta che faceva da piano di contrasto per il taglio; usava le ginocchia come una morsa per trattenere le scarpe da rifinire; avvolgeva il filo per cucire facendone ruotare un capo fra la mano e la coscia; teneva con la bocca un pezzo di spago che avrebbe usato più tardi, ne inumidiva i capi con la saliva; metteva in bocca una piccola quantità di semenze o di bullette, e con le labbra ne porgeva una alla volta alla mano, che la inchiodava nella suola o nel tacco.
La maggior parte del suo lavoro era dedicato alla costruzione delle scarpe da campagna, che i contadini portavano sia d'estate che d'inverno; bastavano due giorni per costruirne un paio.
Talvolta in primavera i calzolai erano chiamati a lavorare a opera presso i poderi. I contadini, infatti, quando avevano bisogno delle scarpe per tutta la famiglia, comperavano il cuoio e tutto il necessario dagli ambulanti e si rivolgevano al calzolaio per l'esecuzione del lavoro. Egli si trasferiva temporaneamente presso di loro, portandosi al seguito i propri utensili. Come piano d'appoggio per gli utensili e i materiali d'uso, al posto del deschetto, utilizzava la tavola del pane, posata davanti a sé su due sedie. Per alcuni calzolai "senza bottega" questo era il solo modo in cui svolgevano il proprio lavoro.
Il calzolaio sapeva che all'inizio dell'autunno, con la cattiva stagione, e in concomitanza della ripresa dei lavori agricoli, avrebbe ricevuto molti ordini di fabbricazione delle scarpe da campagna, e per questo si avvantaggiava preparandone le tomaie.
Le scarpe da lavoro infatti erano il prodotto più richiesto, ma il calzolaio confezionava anche le scarpe dei giorni di festa, gli stivali, destinati a chi possedeva il cavallo (simbolo di uno stato sociale più elevato), i gambali, in cuoio morbido o in vacchetta, che i contadini e, soprattutto, i boscaioli, indossavano sia per preservare la tela dei pantaloni dall'usura e dagli strappi, sia per proteggere le gambe dagli arnesi da taglio.
Al calzolaio, oltre al confezionamento delle scarpe, veniva richiesto di riparare tutti quegli oggetti in uso nella campagna in cui compariva il cuoio o la pelle.
Intorno agli anni Cinquanta giravano per i paesi dell'Amiata molti venditori ambulanti, ed è da questi che il calzolaio acquistava le pelli e gli altri materiali di consumo.
La pelle era commerciata a peso, e poteva essere di prima, di seconda o di terza scelta. La vacchetta, più resistente e dall'aspetto più grezzo, veniva usata per la confezione delle scarpe da lavoro, la pelle lucida per le scarpe basse, usate nei giorni di festa. A cominciare dalla fine degli anni Cinquanta si trovavano in commercio delle tomaie già pronte, sia di vacchetta che di pelle lucida. Per le suole veniva sempre utilizzato il cuoio.
Il confezionamento delle scarpe da campagna
Il calzolaio per prima cosa prende le misure del piede con una striscia di carta ripiegata, alta un paio di centimetri, che incide con il suo trincetto. La prima misura è quella che va dall'alluce alla metà del tallone, per determinare la lunghezza della scarpa, poi la larghezza delle dita, ed infine la circonferenza. A seconda della lunghezza del piede, sceglie la forma in legno. Se questa è abbastanza lunga, ma manca in larghezza o spessore, applica degli spessori di pelle fino a raggiungere la misura desiderata. Se invece la forma manca di lunghezza, usa uno spessore di "allungo", cioè applica una striscia di cuoio sul tallone della forma.
La scarpa è costituita dalle seguenti parti: la tomaia, la striscetta, la linguetta, il giretto, la suola, il tacco.
La tomaia può essere costituita da un pezzo unico di pelle, o da due pezzi ; in entrambi i casi è presente la striscetta (spunterbo) e la linguetta. Il calzolaio sceglie di fare al tomaia in un pezzo unico o divisa in due, a seconda di come si presenta la pelle, cercando di produrre il minimo di scarto. Per il taglio della pelle usa il trincetto e degli stampi di carta o di cartoncino. Tenendo una apposita tavoletta sulle ginocchia, che usa come piano di contrasto per il taglio, vi posa la pelle e la incide col trincetto.
Per la tomaia usa la vacchetta, quella di migliore qualità per la parte posteriore della scarpa, perché più sottoposta all'usura, mentre riserva quella di minor pregio alla parte anteriore. Quando la pelle di vacchetta è più scadente, o in seguito ad una richiesta specifica, egli fodera le tomaia. Incolla la fodera e la tomaia con della colla fatta di farina e acqua.
Una volta ricavati i pezzi, si occupa della cucitura. Ricava il filo per le cuciture dallo spago di canapa, confezionato in gomitoli, accoppiando più pezzi di spago per un filo più robusto, a seconda dei pezzi da cucire. Srotola un numero sufficiente di bracciate di spago, e lo taglia semplicemente sfilacciandolo. Accoppiati i diversi pezzi di spago, li avvolge facendone ruotare una estremità sulla coscia con la mano. Cosparge poi il filo ottenuto con la cera o la pece. Unisce poi una setola di cinghiale spaccata in due all'estremità del filo usando la pece come collante.
Tagliata la tomaia, ci fa gli occhielli con una apposita pinza perforante, mettendo nella parte alta della scarpa da campagna, al posto degli occhielli, i ganci per la stringa. Anche questi vengono fissati con una pinza, e ribattuti perché si allarghino.
A questo punto unisce tutte le parti che compongono la tomaia con delle semenze o con una cucitura a punti lunghi. Il calzolaio cuce la pelle a due fili: uno all'interno e uno all'esterno. Procede perforando la pelle con la lesina unta con del grasso (la sugna o "sciugna") e inserendo i fili nel foro praticato, uno dal dentro e uno da fuori.
Per la parte inferiore della scarpa (costituita dalla prima suola, dal giretto, dalla suola e dal tacco) il calzolaio usa il cuoio che ha appositamente tenuto a bagno per renderlo più morbido.
Applica la tomaia alla forma di legno, e la unisce alla prima suola, quella più interna, morbida, perché sta a contatto del piede, con i chiodi a spillo. Poi pareggia la tomaia in prossimità dell'unione con la prima suola, usando il trincetto.
A questo punto applica il giretto, che è una strisciolina di cuoio che circonda la parte inferiore della scarpa, fra la prima suola e la suola. È largo un paio di centimetri, scavato all'interno, a formare una sorta di cuneo circolare. Cuce il giretto con del filo molto forte, costituito da dieci o dodici unità di spago. Per questa operazione, che richiede notevole energia, il calzolaio si protegge la mano sinistra con il "guardavano", mentre per trarre il filo con la mano destra usa avvolgerlo con la lesina. Questa cucitura interessa allo stesso tempo la tomaia, la prima suola e il giretto.
Per riempire le parti vuote fra la suola e il giretto, applica dei riporti ricavati da pellame di scarto. Per fissare il tacco usa i chiodi di legno, che con l'umidità del piede tende ad allargare, garantendo una migliore tenuta.
Ricava la suola dal cuoio migliore (la parte della schiena) più resistente e più spesso. Dopo averla tenuta a bagno per molte ore, talvolta anche per un giorno, la ribatte con il martello da calzolaio su una lastra di ferro, anch'essa posata sulle ginocchia. Con questa battitura rende la suola più robusta e resistente alle bullette. Poi applica la suola al resto della scarpa già formata cucendola al giretto.
Costruisce il tacco con strisce di cuoio, usando del cuoio di scarto per la parte interna, riservando quello di qualità migliore per l'esterno. Per rallentare l'usura della scarpa, e quindi per garantire una maggiore durata, applica alla suola le bullette più alte ed al tacco quelle più basse larghe e schiacciate.
Restano a questo punto le rifiniture: ripulisce la scarpa tagliando i bordi della suola e del tacco con il trincetto, leviga i contorni con la raspa e li pareggia con un pezzo di vetro tagliente. Infine bagna la suola e il tacco e li lucida sfregandoli con il pisulino, uno speciale strumento a forma di parallelepipedo con due piccole scanalature alle estremità, fatto di legno di sorbo.
Il calzolaio costruisce i lacci delle scarpe da campagna ricavandoli dalla vacchetta. Traccia col compasso sulla pelle un cerchio, dal quale avvia a incidere, con il trincetto, una spirale. Sfrega poi il laccio ottenuto ("correggilo") con una spirale di spago, per renderlo affusolato.
Unge la suola e il tacco delle scarpe per i giorni di festa con la cera d'api, per renderli più lucidi e impermeabili.
A questo punto estrae dalla scarpa la forma di legno, separandone le due parti, e calza una nuova forma a stivaletto, per stirare la pelle e ribattere un'ultima volta le cuciture.