Carnevale e mascheramenti
L’inizio di questa celebrazione, dalle antiche radici pagane, è fissato nel giorno successivo l’Epifania. Il termine Carnevale sembra derivare dal latino car nem levare, poiché in origine indicava il primo giorno di quaresima, ovvero il periodo del digiuno e delle limitazioni; così toglieva la carne, nel passato già poco presente nelle case.
Il Carnevale, quale momento di transizione tra l’inverno e la primavera, ricorda le feste propiziatorie dei Saturnali dell’antica Roma e le antestenie della Grecia classica, con i carri, la gioia, le maschere, i fuochi purificatori e propiziatori di fertilità e abbondanza.
Anche nei paesi amiatini, nel passato, il suo inizio era salutato con gioia: si ballava nei borghi e nei poderi della campagna (qualche volta in maschera; (e donne con pizzi e abiti antichi delle nonne; gli uomini con il volto macchiato di carbone; spesso con abiti del sesso opposto) e nelle case si preparavano gli struffoli, i migliacci, i crogetti, i cannoli, le castagnole, le frappe e i fiocchi ,conditi con miele, zucchero o crema.
Oggi perduti gli aspetti più spettacolari della festa, rimangono pochi elementi di questo periodo dell’anno.
Le satire, momenti di ilarità collettiva e specchio critico delle singole comunità, sono ormai scom-parse dal panorama amiatino; gruppi di uomini o singoli, mascherati con abiti malconci, volti anneriti e con lunghe filze di fichi secchi e noci o “teste” di aglio o di cipolla intorno al collo, andavano in giro per il paese a raccontare o cantare ad alta voce i fatti e le vicende accadute a componenti della comunità locale. Così si recitavano scene di vita: vittime di quei versi erano l’infedele, il padre che ostacolava un matrimonio, l’ubriacone, il politico, il ladruncolo; si condannavano al tempo stesso l’avarizia, la superbia e l’invidia. A Castell’Azzara e Abbadia San Salvatore un personaggio girava il paese con un carretto infioccato e trainato da un somarello ornato di ghirlande di granturco.
A Campiglia d’Orcia e Bagni S. Filippo gli uomini cantavano satire lanciando castagne ai passanti.
A Vallerona venivano proposte da un gruppo di uomini guidati da un certo Turchetta
A Cana da un uomo mascherato da scimmione, coperto di pelli nere di capra, detto il Maccabeo (la tradizione fu interrotta negli anni del Fascismo).
Altro elemento caratterizzante il periodo di Carnevale, anche questo scomparso, era la rappresentazione in piazza dei bruscelli.
Il bruscello, forma teatrale e canora che utilizzava, recitando e cantando, l’ottava rima, apparteneva al ciclo delle forme propiziatorie tipiche del mondo contadino; il ramo d’albero ( l’arbuscello) fissato nello spazio teatrale rappresentava il simbolo e il centro della festa, il fulcro attorno al quale si muovevano gli attori-cantori. I temi più frequenti ed apprezzati erano quelli epico-cavaIlereschi (realidi Francia), biblici (Giuditta e Oloferne), quelli ripresi dalla storia romana antica (gli Orazi e i Cuniazi) o della storia del cristianesimo (Sant' Eustachio). E’ comunque sopravissuta fino ai nostri giorni una usanza assai diffusa, interpretata dalla popolazione giovanile di alcuni paesi, fare il 'cuccuciccia': per giovedì grasso i ragazzi, armati di uno spiedo (lo “spedo” ), andavano di casa in casa gridando “ciccio, ciccio!’, raccogliendo in dono pezzi di carne di maiale e di salsiccia che infilzavano nello spiedo. La tradizione era diffusa a Santa Fiora, Selvena, Piancastagnaio, Tre Case, Saragiolo e Radicofani; oggi sopravvive solo nei tre centri del versante senese e i ragazzi non raccolgono più carne, ma denaro e dolciumi.