24 novembre

Il rituale dello Stollo e della Focarazza di Santa Caterina (comune di Roccalbegna) evoca ancora il culto dell’albero e del fuoco. Santa Caterina è il paese delle piccole e numerose contrade sparse sulla cima dei rilievi che dominano la valle del fiume Albegna, alla base del Monte Labbro. Qui ogni anno, la sera del 24 novembre, teorie di persone provenienti anche dai paesi vicini rivivono l’antica tradizione dello Stollo e della Focarazza, legati al culto della patrona S. Caterina delle Ruote (o d’Alessandria). Intorno alla festa si intrecciano cicli di leggende e credenze popolari: dalla fantastica nascita del paese alla edificazione della cappella della Santa nel luogo chiamato “Greppo alle Forche”, alla scomparsa della leggendaria vicina città di Ginevra inghiottita dal terreno. In questo scenario si svolge una delle più suggestive espressioni della religiosità popolare del territorio, con la gente raccolta intorno alle fiamme desiderosa di attestate la propria devozione e partecipare al rito. Metà pagana e metà religiosa, la festa, dalle origini bruciato nelle case e la sua cenere sparsa nei campi e negli orti, con chiaro significato augurale di ferti­lità. Questi significati sono presenti anche in altri rituali dell’anno folklorico dell’Amiata.

Fin dalla mattina del giorno 24 gli uomini sono al lavoro nel bosco, dal quale vengono prelevati il grande cerro, albero sacro simbolo della Santa e i rami di erica (lo “scopo”) da unire in fascine. Sulla sommità della collina che domina le contrade e la piccola cappella, viene innalzato lo Stolto (il tronco del certo liberato dei rami) e tutt’intorno vengono fissate le fascine in forma di grande pagliaio. Giunge la sera e paesani e pellegrini gremiscono la cima sempre nebbiosa del poggio; dopo la funzione liturgica, una processione muove dalla cappella fino alla sommità, dove il parroco benedice l’insie­me sacrale. Il fuoco viene acceso in una esplosione di fiamme e di acclamazioni; la simbologia popola­re collega lo Stollo al corpo della Santa e le fiamme al suo martirio. Il fuoco brucia pian piano le fascine e lascia intravedere lo Stollo centrale avvolto da calore e fumo; da quel momento gli uomini inizia­no ad allontanare la brace, saltandovi sopra con i piedi, in un turbinio di faville. Prima ancora che le fiamme si plachino, essi tentano di sradicare lo Stollo dal terreno uniti in uno sforzo comune, piegandolo, girandolo, sollevandolo, fino a riuscirvi. E’ il momento magico della festa e lo sforzo collettivo si trasforma in lotta individuale per la conqui­sta del simbolo sacro.
   
imgLa lotta è ogni volta dura poiché i contradaioli si fronteggiano con energia, spes­so con violenza, lungo le piccole strade che unisco­no le contrade, nei campi, passando su muri, siepi, filo spinato e travolgendo ogni ostacolo; lo Stollo, con il suo incredibile carico umano (30-40 persone), corre nel buio della campagna accompagnato dalle grida dei sostenitori che lo seguono da vicino. La stanchezza fisica, le mosse improvvise e, non ultimi, gli accordi segreti tra le contrade, decidono la fine della lotta e lo Stollo, dopo un’ultima corsa, viene alzato sulla facciata di una casa della contrada vincente; da questo momento diviene intoccabile.

Dopo tanta rivalità la festa si trasforma e compaiono cibi, biscotti dolci e vino, offerti a tutti i presenti in un pasto comune. Esplodono inevitabili i commenti e le osservazioni sullo svolgimento della gara; sui volti e sulle mani appaiono i segni delle contusioni. La serata viene consumata tra canti e allegria, Il giorno successivo, il 25, la festa prosegue con l'aspetto sacro: la processione attraversa le contrade con la statua della Santa e il suono della banda musicale. Con le offerte raccolte dai festaioli si svolgono, nel pomeriggio, giochi popolari nella centrale contrada Pianona.

tratto da: Alessandro Giustarini. La montagna amiatina. Le feste e la ritualità del ciclo dell'anno. Grosseto, 1999.