Marina di Grosseto
Vi hanno vissuto generazioni di pescatori
Le capanne di falasco a Marina
Un villaggio che ha subito profonde trasformazioni e che dovrebbe essere tutelato meglio perché non perda definitivamente i suoi connotati originari. Chiassosa presenza di lamiere e vecchi cartelloni pubblicitari. Anche un’antenna televisiva a testimoniare il «progresso»
Appena a sud di Marina di Grosseto, tra la pineta e il mare, in mezzo alla fascia di sabbia e di dune che confina con le ultime case, sorge un insediamento di poche baracche e capanne e non è facile raggiungerlo e riconoscerlo in mezzo ai campeggi, alle costruzioni basse rimesse a nuovo, ai pini.
La sua caratteristica è quella di essere costruito (almeno prima dei riadattamenti degli ultimissimi anni) interamente con il falasco: una pianta che cresceva in abbondanza nel padule e negli acquitrini costieri e che, dopo essere stata tagliata, veniva fatta essiccare al sole e rappresentava la materia prima per questo tipo di costruzioni.
La tecnica, rimasta in eredità a quei pochi pescatori che costruirono le capanne di Marina oggi ancora in piedi, è testimonianza di tempi antichissimi e di soluzioni architettoniche e abitative estremamente semplici e funzionali.
Il falasco fa infatti da tetto e da rivestimento a una iniziale struttura in legno delle capanne e se utilizzato con l’arte e l’esperienza di secoli rimane perfettamente impermeabile e protegge dalle intemperie.
In queste capanne hanno vissuto (e continuano in parte a vivere) generazioni di pescatori e vengono ora affittate durante il periodo estivo a prezzi molto alti; evidentemente il fenomeno è motivato dall’affollamento di Marina e dei vicini campeggi, ma il fascino per l’esotico e il «maremmano» ne rappresenta certo la prima ragione, in un momento di riscoperta del passato e della natura.
Intanto il «villaggio» è divenuto come un fortino assediato da una civiltà vincitrice e diversa: di fronte gli ombrelloni dei bagnanti, dietro le tende e le roulottes, a fianco il paese. E sulle antiche capanne sono piovute scorie e rifiuti del benessere e del turismo: qualche tavolo di formica, uno specchio da salotto degli anni ’60, onduline e lamiere, vecchi cartelloni pubblicitari che fanno da recinto o da tetto.
Anche un’antenna televisiva spunta ora dal falasco come a testimonianza di una cultura egemone anche nelle sue pieghe più nascoste, capillare e onnipresente.
E’ questa la zona a sinistra del «Fossino», quella che pescatori e cacciatori prediligevano e quella dove si diffuse il primo «turismo» dei grossetani, con piccole baracche tra la pineta e sulla sabbia. Era il vecchio San Rocco, l’unico luogo della Maremma, forse, dove Garcia Marquez avrebbe potuto ambientare una delle sue storie di sud e di mare. Le onde lambivano allora la torre medicea, si sparava ai colombacci in equilibrio dall’alto dei pini e le arselle erano fitte sotto la battigia. Poi dalla strada polverosa della città la gente cominciò ad arrivare sempre in maggior numero; le capanne si trasformarono nelle prime baracche e dove prima c’era solo bosco, sorse un vero paese.
Lentamente le case si diffusero anche aldilà del canale, divennero costruzioni in muratura e palazzi, generarono locali, bagni, quartieri. E anche l’insediamento originale in cui le famiglie benestanti andavano a trascorrere le ferie sembrò vecchio e emarginato e fu detto «Shangai», in un momento in cui non correva grande simpatia per i paesi lontani e asiatici. Delle capanne residue poi, scampate per caso alla prima distruzione, se ne perse perfino il ricordo.
Ci ritornano alla mente ora, in un momento in cui si costruiscono falsi bungalow e tucul per turisti e si costruiscono pizzerie e locali alla moda dei vecchi ambienti di pescatori e cacciatori maremmani; ora che Gaetano Telloli vi ha anche ambientato un libro ( Carlin Materia ) molto bello e quasi inosservato in mezzo a un mare di altre pubblicazioni locali pretenziose e senza senso; ora che tra le rovine della speculazione e della corsa al progresso si raccolgono i frammenti del nostro passato dalla voce dei vecchi, tentando di ricomporli con pazienza e qualche volta con successo.
Cercare di far rivivere questa cultura è impossibile oltre che ingiusto, ma tutelarne gli ultimi segni è doveroso. Senza un intervento preciso o comunque una forma di controllo, le capanne di falasco di Marina spariranno rapidamente o verranno irrimediabilmente manomesse dalle esigenze della loro nuova utilizzazione turistica.
Così come è stato fatto per quelle sulla costa sarda, è possibile salvare e addirittura farne il primo stimolo per una serie di studi sulle abitazioni rustiche in Maremma, sui cicli di vita e di lavoro delle fasce folkloristiche di tutta la zona: popolazioni di pescatori, contadini, artigiani, cacciatori e minatori, butteri del territorio grossetano.
Roberto Ferretti, La Nazione, 24 settembre 1978