Marroneto
Il Carnevale morto di Marroneto
Introdotto dalla squadra della Befana che passava cantando, chiuso dal rintocco della campana che segnava l'inizio della Quaresima, il Carnevale era terra di confine, vuoto popolare tra la liturgia natalizia e quella pasquale.
Nel gioco di rimandi, opposizioni, confronti che quasi geometricamente costruiva il ciclo dell'anno popolare, il Carnevale non galleggiava tuttavia come dimensione a se stante: vedeva allungarsi l'ombra lunga delle Ceneri, debordava dai suoi limiti temporali giungendo nel cuore del clima prepasquale e forse più in là.
La serie di brevi azioni teatrali riproposte dal gruppo di adulti di Marroneto (da sempre stretto intorno alla tradizione più cara da cui prende il nome stesso) rappresenta efficacemente questo clima e questo intrecciarsi di tempo sacro-tempo profano. Si tratta dell'unico esempio sopravvissuto nella nostra terra di celebrazione teatrale popolare intorno alla morte e testamento del Carnevale.
Emergerà dallo spettacolo il carattere fortemente simbolico e autorappresentativo di una comunità di montagna nel periodo che va dalla preparazione delle scorte alimentari al loro consumo, sempre sull'orlo della crisi alimentare, non immemore di antiche divinità infernali, utilizzante questa festa di Capo d'Anno contadino come momento di autoconfessione (il testamento), di autoironia e di bonario antagonismo nei confronti del potere (le figure quotidiane di Dottore, Frate, Notaio contrapposte sia a quelle fantastiche sia a quelle subalterne).
Roberto Ferretti, 1983