Saturnia

I riti della fertilità agraria nelle acque termali di Saturnia

I simboli stessi dell’antica città, nella leggenda ancora inedita di Orlando. Il culto negli anni della calda sorgente. La necessità di uno studio complessivo.

Nell’articolo dell’8 ottobre sulla Nazione, si parlava della ricognizione esplorativa recentemente compiuta dall’archivio delle tradizioni popolari al Bagno Santo di Saturnia. In esso si ipotizzava che intorno a questa località, antico santuario popolare nella macchia, fosse legato un più generale e complesso culto dll’acqua termale, sopravvissuto sin dalle profondità preistoriche. La ricerca andrebbe estesa alla vicina Saturnia, alla quale apparteneva la maggior parte dei pellegrini del Bagno Santo e che probabilmente dovette l’importanza e ricchezza di un tempo proprio a quelle sorgenti di acqua calda e solforosa che ancora sgorgano nelle sue vicinanze.

Di Saturnia, città antichissima, l’antica Italica Aurinia, nulla è rimasto se non il suolo che si calpesta e che restituisce testimonianze di rilevanza archeologica. Tutto intorno è un paesaggio profondamente inciso dal tempo e travagliato da forze naturali che noi pensiamo terribili e sovrumane (è strano come le civiltà più grandi coincidano con deserti o altipiani brulli e sassosi). E l’immagine che conserviamo di quei luoghi è quella di necropoli smisurate, santuari nella roccia, cave e templi rifugio a «giganti guerrieri di una volta».

L’attuale abitato, risorto dopo la recente bonifica che propone modelli di convivenza pacata e nucleare, è fatto di case di travertino bianco, distanti le une dalle altre, silenziose e sparse su  un mare di antiche rovine. Sulla sua chiesa rifatta nel 1930, sul castello, reinventato sullo sventramento della rocca quattrocentesca, sul monumento ai caduti, i secoli saranno in tempo a spargere la dignità del tempo, ma niente ora traspare dell’antica grandezza; nelle piazze larghe, nei vicoli che si aprono in panorami troppo estesi per dominarli con lo sguardo, gli uomini si muovono lentamente e sembrano quasi coscienti del loro essere colonia recente, trapiantata su un enorme cimitero di civiltà. Su di loro la storia pare pesare, col suo bagaglio di splendore e di lutti. Dopo secoli e secoli di dominio, che ne fece addirittura nella tradizione la prima città italiana, Saturnia divenne infatti preda degli invasori di turno e furono volta a volta eserciti romani, barbari, saraceni, senesi a violarne le mura ed a metterla a sacco. La sacra valle dell’acqua cara agli dei rimase deserta per secoli.

Ma l’unico filo che sembra legare il paese al suo passato è proprio quella sorgente calda e solforosa che sgorgava dalle viscere della terra e che nei millenni deve avere improntato, se non proprio determinato, la vita dei suoi abitanti. Questo, attraverso un culto che si conosce comune a tutte le località termali ed i cui superstiti  frammenti son arrivati quasi sino ad oggi. Nell’atto di immergere i tori in quell’acqua per dar loro virilità, compiuto fino ad alcuni anni addietro, rimangono evidenziati riti di fertilità agraria ed animale; nel condurre i cavalli con le zampe dentro la sorgente, nello stesso immergersi della popolazione contadina in quel bacino, sopravvivono superstiti terapie popolari.

Giorgio Santi, naturalista a cavallo tra Settecento e Ottocento, in un mondo di cultura agraria ancora intatto e di grande fascino per lo studioso attento ed avventuroso, ne descrive i piccoli bagni, il modesto, ma frequentato stabilimento di balneazione. Nel suo «Viaggio al Montamiata», racconta che «il loro pregno di zolfo del Vascone» delle Terme, veniva ridotto a «piccole masse rotonde» e venduto, «così seccato», ai pastori del luogo, per farne frizioni alle pecore con la scabbia.

Ma nel passato, quelle terme che ora sono nella pianura, imprigionate dall’attuale stabilimento, sgorgavano in mezzo al paese. Questo è il ricordo della gente, che ne indica ancora il punto: un bacino secco cinto da mura romane. Non esistono fonti precise su questo fatto ed ancora una volta l’unica notizia ci viene da una leggenda, ormai difficilmente riudibile in paese. A raccontarla è un vecchio di Poggio Ferro, che in gioventù leggeva i poemi ariosteschi e ascoltava il babbo parlare dei paladini di Francia e dei crociati. Nel suo ricordo, a lungo maturato nelle veglie di campagna, si confondono i cavalieri e contadini, le mura di Saturnia e quelle di Parigi e Gerusalemme.

Orlando giunse dunque a Saturnia, nel suo pellegrinare di cavaliere, in sella a Vegliantino, cavallo alato. Ma le mura erano chiuse, alte e gremite di difensori. L’eroe disperò di potervi entrare e statva già per desistere, quando l’animale gli parlò: -«Forte Orlandino e non aver paura che  Veggliantino salterà le mura!» disse, e con un balzo fu nel centro della città. Di quel balzo rimane un’impronta sulla pietra che viene ancora mostrata. Cominciò una battaglia accanita, ma sebbene Orlando attaccasse con la consueta irruenza, si accorse che la difesa non cedeva e che quanti cadevano feriti, ben presto tornavano vivi e vegeti a contrastarlo. Quale mistero si celava dentro Saturnia? Fu una vecchia a svelarglielo (sempre, nelle leggende, sono le donne, più spesso le vecchie, ad aprire le porte al nemico) a patto di aver salva la vita del figlio. Disse che i guerrieri saturnini feriti si immergevano nell’acqua che sgorgava lì presso e tornavano miracolosamente sani. Orlando raggiunge allora quel luogo, che da allora si chiama «Bagno Secco» e con un fendente della spada ne aprì il terreno. - «Acqua che guarisce raspo e rogna, scendi nella vall di Saturnia!» - esclamò. L’acqua sparì d’improvviso e da allora sgorga nella sede attuale, lontano dall’abitato.

Nella leggenda, sin’ora inedita ed affidata ormai al ricordo di un vecchio (e che è uno dei tanti esempi in cui Orlando lascia sul terreno impronte e grandi tracce del suo passaggio), sono nascosti i simboli stessi di Saturnia: la magica fonte che negli anni dette ricchezza , ma attirò anche il pericolo, il nemico sempre sotto alle mura, il trauma storico dell’esaurirsi della sorgente.

E la maledizione del cavaliere paladino dura ancora, se è vero che l’acqua che esce dalle Terme scendendo con un piccolo fiume e delle cascate suggestive è ormai inquinata.

5, novembre 1978