Il ciclo leggendario di Orlando
Orlando a Saturnia
Un intero ciclo di leggende riguarda Orlando, il conte paladino della corte di Carlo Magno, ed altri personaggi che già compaiono nei poemi cavallereschi.
Secondo la leggenda che si narra in Maremma, Orlando e Rinaldo, paladini di Francia, partirono da Parigi alla volta di Roma. Giunti in un luogo che si chiama ancora Buca dei Paladini, Rinaldo sparì misteriosamente, e Orlando si mise alla sua ricerca.Giunse così sotto le alte mura di Saturnia, città in possesso degli infedeli. Il suo cavallo, Vegliantino gli si rivolse con la frase «Stai forte, Orlando, e non aver paura, ché Vegliantino varcherà le mura». E così fu, che con un balzo il cavallo di Orlando scavalcò le mura di Saturnia, lasciando sul selciato l'impronta dello zoccolo che si vede ancora. Orlando poté sconfiggere i guerrieri saraceni. Ma durante la battagli l'eroe si accorse che i nemici che aveva colpito a morte, dopo poco gli comparivano ancora davanti. Così chiese spiegazione di questo fatto ad una vecchietta che si trovava lì. Questa rispose: «Io ti svelo il segreto, ma tu promettimi che salverai la vita a mio figlio». Orlando accettò e fece la promessa. La vecchina allora svelò il segreto: dentro Saturnia c'era una sorgente miracolosa, e chi era ferito, anche a morte, immergendosi in quell'acqua guariva da ogni male e ogni ferita, immediatamente. Allora Orlando decise di rimediare a questo inconveniente, altrimenti non ci sarebbe stato modo di vincere la battaglia: andò alla sorgente miracolosa e pronunciò le parole: «O bagno che sta' dentro Saturnia, va' nel piano e medica raspo e rogna!». Così la sorgente medicamentosa che si trovava in Saturnia si prosciugò all'istante, per sgorgare più in basso, lontano dall'abitato. Da allora la sorgente prosciugata si chiama Bagno Secco. Orlando, ripresa la ricerca di Rinaldo, scoprì la bocca di una caverna e vi trovò dentro i corpi dei paladini a cavallo, pietrificati da un incantesimo. La strega che aveva fatto l'incantesimo, e che teneva prigionieri della roccia i paladini, ormai scoperta, implorò Orlando di salvarle la vita, ma lui la colpì con la sua spada Durlindana, senza pietà. In questo momento Rinaldo, anch'egli trasformato in pietra, si riebbe, e la maliarda di cui si era innamorato alla pazzia si rivelò un'orribile strega. Poco più avanti si fece avanti Gradasso, a capo di un esercito di infedeli, che voleva battere i cristiani. Ma non tardò a riconoscere i colpi micidiali della spada di Orlando, la Durlindana, così dovette ritirarsi, lasciando i cavalli e le vettovaglie.
Il Guerrier Meschino
La strega che aveva irretito con le sue malie Rinaldo, imprigionandolo nella roccia insieme a tutti gli altri paladini, corrisponde al personaggio della fata Alcina del poema ariostesco. La troviamo anche in un'altra narrazione leggendaria maremmana, che presenta un legame con la precedente: il Guerrier Meschino. La leggenda narra di un bambino che, abbandonato dai suoi genitori, fu adottato da una coppia che non aveva figli. A questo bambino fu dato il nome di Meschino, per via delle misere condizioni in cui lo avevano trovato. Egli divenne un valido guerriero, tanto che fu nominato Guerrier Meschino. Durante una battaglia presso Saturnia, avvennero cose veramente strane: più uomini feriva, e più gli tornavano davanti. Questi infatti si immergevano nelle acque di una sorgente fatata, e tornavano su come non avessero mai avuto niente. Saputo dell'incantesimo, Meschino si diresse verso queste acque e pronunciò le parole: «Acque, venite fuori e combattete con me!». La sorgente dalla paura si prosciugò, e le acque sgorgarono giù nel piano. Più avanti, Meschino volle scoprire chi fossero i suoi veri genitori, ma nessuno gli sapeva dare notizie. Solo una donna gli disse di rivolgersi alla fata Accina, che sapeva tutto di tutti. Ma per raggiungerla era necessario percorrere un lungo tratto all’interno di una caverna, e superare parecchie prove in breve tempo. Meschino superò tutte le prove, ed evitò tutti i trabocchetti che la fata gli tendeva. Così scoprì che i suoi genitori non erano morti, ma qualcuno li teneva ingiustamente rinchiusi in prigione. Allora Meschino trovò il vero colpevole e liberò i vecchi genitori, che andarono a vivere con lui.
La fata Alcina
Ognuna delle due leggende presenta diversi elementi, fra i quali il luogo nel quale si svolge il fatto centrale, la battaglia, che in entrambi i casi corrisponde a Saturnia; la presenza, all'interno dell'abitato, di una sorgente fatata; l'intervento dell'eroe che provoca l'essiccarsi della sorgente ed il suo trasferimento giù nel piano. Come accennavo sopra, anche il personaggio della fata o strega è comune alle due narrazioni, oltre che all’Orlando furioso, dell'Ariosto. Qui Alcina è presentata da Astolfo (personaggio dei poemi cavallereschi, considerato figlio di Ottone, re d'Inghilterra, e cugino sia di Orlando che di Rinaldo) a Ruggiero, giunto sull'isola in cui questo si trova imprigionato in una pianta di un mirto. Ruggiero ha raggiunto l'isola in maniera fortunosa, condotto dall'Ippogrifo, e non appena toccato terra ha fissatole briglie dell'animale mitologico ad una grossa ed ombrosa pianta di mirto. E mentre l'Ippogrifo si dimena, per liberarsi dei legacci e librarsi di nuovo nell'aria, con forti strattoni, Ruggiero sente una voce provenire dall'albero:
…
Il nome mio fu Astolfo: e paladino
era di Francia, assai temuto in guerra:
d'Orlando e di Rinaldo era cugino,
la cui fama alcun termine non serra …
La fata Alcina abitava in un castello sulla riva del mare. Catturava ogni tipo di pesce con la sua arte magica:
E come la via nostra e il duro e fello
Destin ci trasse, uscimmo una matina
Sopra la bella spiaggia, ove un castello
Siede sul mare, de la possente Alcina.
Trovammo lei ch'uscita era di quello,
e stava sola in ripa alla marina;
e senza rete e senza amo traea
tutti li pesci al lito che volea.
Astolfo narra a Ruggiero di come Alcina lo rapì, e di come, facendolo innamorare, i due divennero amanti.
Quando credea d'esser felice, e quando
credea ch'amar più mi dovesse Alcina,
il cor che m'avea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.
E l'epilogo della loro storia: a nuovi amori si rivolse Alcina, e per impedire che i precedenti amanti raccontassero della sua crudeltà per il mondo, li trasformava in piante, o fonti, o in animali feroci.
E perché essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi là, per lo terren fecondo
li muta, altri in abete, altri in oliva…
E lo mette in guardia:
avrai d'Alcina scettro e signoria,
e sarai lieto sopra ogni mortale:
ma certo sii di giunger tosto al passo
d'entrar o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.
Ecco che si trova nell'epica ariostesca sia il tema dell'innamoramento sia quello degli eroi trasformati in pietra.
Nelle diverse narrazioni si distinguono i personaggi che subiscono prima il fascino della fata, poi la prigionia. Mentre è Rinaldo nell'una, ad essere stato trasformato in pietra, rapito dalla travisata bellezza di lei, nella narrazione tradizionale, quella del Guerrier Meschino, troviamo il riferimento esplicito solo ad una serie di prove da superare, ma non è difficile immaginare le conseguenze che avrebbe subito l'eroe se non le avesse superate. C'è da considerare, fra l'altro, che nell'uno e nell'altro caso la scena si svolge all'interno di una grotta. L'Alcina dell'Ariosto fa da trait d'union alle due leggende maremmane, presentando il personaggio come fata affascinante ed ammaliatrice, e strega crudele e spietata nell'abbandonare i suoi innamorati, per rivolgersi ad altri, dopo averli imprigionati in corpi animaleschi, o in piante, o in pietre.